Movimento Consumatori sostiene la campagna #payyourworkers
Una coalizione di oltre 200 organizzazioni chiede ai marchi e ai distributori della moda di pagare alle lavoratrici e ai lavoratori tessili quanto dovuto: rinunciando soltanto a 10 centesimi di profitto su ciascuna t-shirt venduta, aziende come Amazon, Nike e Next potrebbero permettere a queste persone di sopravvivere alla pandemia. Sul nuovo sito della coalizione PayYourWorkers.org, tutte le informazioni e le richieste ai marchi.
Milioni di lavoratori hanno lottato per sfamare le proprie famiglie da quando i marchi li hanno abbandonati lo scorso marzo. Le aziende hanno risposto alla crisi rifiutandosi di pagare gli ordini e utilizzando la diminuzione della domanda di abbigliamento per ottenere prezzi ancora più bassi dai fornitori. Questo ha comportato una diffusa perdita di posti di lavoro e di reddito, spingendo tante persone sempre più a fondo nella povertà e nella fame.
A un anno dall’inizio della crisi, molti marchi sono tornati a fare profitti, raggiungendo persino traguardi record, mentre i lavoratori nelle loro catene di fornitura lottavano per sopravvivere. Next e Nike sono dei cosiddetti “Super Winners” essendosi ripresi rapidamente dalle perdite della pandemia e iniziando a realizzare nuovamente profitti. Amazon ha fatto ancora meglio e ha registrato un aumento di quasi il 200% dei profitti, salendo a ben 6,3 miliardi di dollari nel primo anno della pandemia. Queste aziende possono e devono garantire che i lavoratori non paghino il prezzo della pandemia con i loro salari di povertà.
La campagna #PayYourWorkers, che riunisce 200 sindacati e organizzazioni della società civile di 35 diversi Paesi, tra cui Movimento Consumatori, chiede ai marchi di fornire immediato sollievo ai lavoratori dell’abbigliamento e di sottoscrivere impegni vincolanti per riformare il loro settore in rovina.
“In filiere e consumi globalizzati – spiega Alessandro Mostaccio, segretario generale MC – non è più possibile che le aziende giochino a ‘nascondersi’ dietro la ‘lontananza’ del luogo di produzione da quello di consumo. A filiere globali deve corrispondere una trasparenza globale. E’ questo che chiedono i consumatori. E’ questo che esigiamo!”
In particolare, la campagna chiede che aziende come Amazon, Nike e Next paghino quanto dovuto ai lavoratori durante la pandemia, rispettino il diritto di organizzarsi e i contratti collettivi, si assicurino che i lavoratori non vengano mai più lasciati senza un soldo se la loro fabbrica fallisce aderendo alla proposta di fondo negoziato di garanzia per le indennità di fine rapporto e disoccupazione. Sophorn Yang, presidente della Cambodian Alliance of Trade Unions, ha dichiarato: “I lavoratori in Cambogia hanno perso milioni di dollari di salari durante la pandemia a causa delle azioni dei marchi. È tempo che le aziende riconoscano la posizione di potere che occupano nelle catene di fornitura di abbigliamento e calzature e si assumano la responsabilità dei salari dei lavoratori che gli garantiscono miliardi di dollari di profitti ogni anno”.
“Abbiamo calcolato che se i marchi rinunciassero a intascarsi solo dieci centesimi per t-shirt potrebbero garantire ai lavoratori dell’abbigliamento il reddito di cui hanno bisogno per sopravvivere alla pandemia e rafforzare le protezioni contro la disoccupazione per il futuro. Questa proposta è realizzabile subito mentre salari dignitosi dovranno essere il prossimo obiettivo per tutta l’industria, non appena il picco della crisi si attenuerà. I marchi e distributori che affermano il contrario, stanno anteponendo i profitti al benessere dei loro lavoratori ” ha concluso Deborah Lucchetti, coordinatrice della Campagna Abiti Puliti, che vede tra i suoi aderenti anche Movimento Consumatori.